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Andrea D'Amore "Il verme e il ragno" (particolare) - Credit Photo: @andreadamore, cartella stampa della Mostra

 

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Andrea D’Amore “Il verme e il ragno” (particolare) – Credit Photo: @andreadamore, cartella stampa della Mostra

 

Andrea D’Amore porta a Villa Aldobrandini Banchieri Rospigliosi di Prato la sua arte e la sua personale esperienza nella mostra “Il Verme e il Ragno”. Un progetto espositivo che dal 7 Aprile al 5 Maggio 2024 ha animato tre differenti ambienti della dimora nobiliare grazie alla sapiente cura di Matteo Binci e alla direzione artistica di ChorAsis – Lo Spazio della Visione. Un luogo agganciato alla città di Prato ma che contiene crismi e immagine della campagna toscana, con giardini all’italiana, grotte, ulivi e boschetti a circondare il tutto. Una location che sorge laddove un tempo antichi mestieri e pratiche in disuso hanno visto tempi migliori. Ecco allora che dei tempi moderni prova a dare spiegazione attraverso la visione di artisti come D’Amore.

Poliedrico sperimentatore, livornese di ingresso nel mondo, è ed è stato cittadino e curioso interprete di tanti posti diversi. Ecco che la sua esperienza trova nel dinamismo della trasformazione un campo su cui estendersi. Andrea D’Amore crea con “Il Verme e il Ragno” un teatro al cui interno inserisce tanti pezzi di se. Sofferti, emozionali ma che rendono la visita un continuo svolgimento, come uno show -il suo- di cui rende il visitatore pubblico ma anche protagonista.

Andrea D’Amore “Il Verme e il Ragno”: ambienti e ambientazioni

  • Pania, o sala dell’uccellagione (dell’aperitivo). Introduzione alla visita, con chiari riferimenti a ciò che sarà e con la trasformazione del ruolo del visitatore, che sembra perdere la volontà dell’essere di fronte ai richiami dei/del messaggi/o di D’Amore;
  • Sala senza nome. Senza nome, senza suono, senza riferimenti. Che sono poi tutti i cardini di un uomo che si trova confinato all’interno di un mondo che esiste da prima di lui e verso il quale lui non ha strumenti per coglierne il tutto. Eppure riuscirà a trovarne chiavi e grimaldelli per liberarsi della pelle che non avrebbe permesso di viverne il senso;
  • Sala da pranzo. La tavola è stata imbandita, vissuta e riempita di simboli che rappresentano la trasformazione delle materie. Il cibo che si consuma all’interno di ognuno ed anche all’esterno in ciò che ne resta abbandonato. Eppure la tavola non perde il senso di cerchio attorno al fuoco, convivium, luogo per spiegare se stessi. E di se stesso D’Amore appende alle pareti più di quanto non sappia raccontare con fervore.

Pania, o la sala dell’uccellagione (dell’aperitivo)

La mostra nasce da lontano e si sviluppa nell’immediatezza degli ambienti. Si crea un equilibrio fisico tra ciò che esiste e ciò che prende vita. La Sala dell’Uccellagione in cui la mostra accoglie il visitatore sembra anch’essa far parte dell’esposizione in modo voluto e invece assume il contorno, anche metafisico, della trappola. Un’antica pratica di caccia ormai proibita è il modo in cui D’Amore richiama a se il passante. In Pania il ruolo di visitatore lascia il posto a quello di “adescato”, richiamato dai piaceri del cibo, del vino che sgorga dalla parete come una sorgente, dai suoni dei simili che richiamano il desiderio. Eppure il dipinto ad olio che mostra l’iconografia del Carro dei Tarocchi riporta all’essenza del proprio agire. E’ un monito che l’artista porge all’adescato/pubblico, uno strumento di ritorno al reale, alla stabilità del ruolo.

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Pania o Sala dell’Uccellagione – Credit Photo: @andreadamore, cartella stampa della Mostra

E’ un attimo, prima di colpire con la vista del tappeto ripiegato dietro la parete-sorgente. Un simulacro. Un simbolo di qualcosa che è passato e che nel passaggio sui protagonisti ha lasciato se stesso, abbandonato alla parete, ma vivo come mai. Con Tappeto l’artista apre le porte al passaggio verso l’ambiente successivo e preannuncia che qualcosa è rimasto indietro, come monito di un percorso che, superato nella pratica resta appeso in qualche modo come la pelle che un serpente abbandona dopo una muta.

Un mondo senza nome: l’uomo che scopre se stesso nel mondo

Tappeto è la chiave per accedere alla seconda stanza dell’esposizione. Qui lo sguardo sopravanza il rimessaggio degli attrezzi agricoli per cogliere sulla parete di fronte il video Un mondo senza nome, che in realtà battezza con questo ossimoro di se stesso l’ambiente. Il video “Un mondo senza nome”, circolare, racconta in ventisette minuti il lavoro che l’individuo compie con e su se stesso, per appropriarsi di strumenti che servono ad interagire con un mondo di cui è unico abitante e solitario eroe. Ed eccolo il tappeto che, prima cela la vista all’oltre, poi s’aggrappa al corpo come una pelle che imprigiona. E non si può far altro che lottare per liberarsi di un’involucro che impedisce la percezione e che rallenta il processo d’interazione, cambiamento, (dis)evoluzione.

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Un mondo senza nome – Credit Photo: @andreadamore, cartella stampa della Mostra

L’uomo appende all’inizio del suo cammino la pelle che resta il ricordo della sua lotta. Va avanti. Gioca e sperimenta l’ambiente che lo circonda. Prova a domarlo. Si sfinisce anche per addomesticarne i contorni. Lo distrugge. La materia, e qui l’artista ne coglie a fondo il metaforico valore, si smonta e cola come un limone schiacciato dalla volontà di chi dalla sua trasformazione trova linfa e vitalità. Non a caso il video è figlio di un periodo di eremitismo fisico che tracima nella volontà di farne un momento di trasformazione. La materia è tutto, anche ciò che non si vede eppure sa trasformarsi e trasformare.

Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo

Eraclito

Andrea D’Amore “Il Verme e il Ragno”: la sala da pranzo

La sala da pranzo è un componimento. L’interazione è figlia del convivium che questa rappresenta nella sua essenza più vera. Il cibo è ancora materia che si consuma, ma con differente energia. Questo è cucinato in pentole (nove) i cui coperchi adornano il muro di fronte e sfoggiano ciascuno un pezzo dell’albero psico-genealogico di Andrea D’Amore. I piatti in cui i commensali hanno nutrito loro stessi mostrano invece il calco del volto dell’artista. Al convivium si arriva trasformati, da questo emerge di noi un’immagine differente e le immagini matres nostrae causano una bella vista di se stesse, appese al muro della nostra co(no)scienza.

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Sala da pranzo (particolare) – Credit Photo: @andreadamore, cartella stampa della Mostra

Andrea D’Amore è un folletto che narra le novelle che ha ri-scritto. Lo fa con quello che ha saputo tirar fuori da se stesso appuntandolo alla vista comune del pubblico. Una platea eterogenea che arriva convinta, si sente rapita, riprende se stessa e si mescola in ascolto. Andrea D’Amore coglie con “Il verme e il ragno” il punto che non è mai stato un progetto, piuttosto un percorso. L’esposizione assume l’effige di una spirale, e quando senti di averne colto il senso sei risucchiato nuovamente dalla trasformazione di piccoli aspetti che ne mescolano il risultato finale.

Galleria d’immagini dall’esposizione

Andrea D’Amore “Il Verme e il Ragno”: nota sull’artista

I campi di ricerca e di applicazione della pratica di Andrea D’Amore sono principalmente il convivium  e il tracciamento speculativo nell’ambito della caccia e della raccolta, condotte iterativamente e con una postura empatica.

Ha partecipato a residenze artistiche tra cui Guilmi Art Project(CH), Traffic Festival (PU), Archeologia Arborea (PG). Realizzato performance e installazioni per istituzioni nazionali come Video Sound Art Festival (BS), EX3 Center for Contemporary Art (FI), Centro Pecci (PO), Villa Romana (FI), Fabbrica del Vapore (MI) e internazionali, Deutsche Bank KunstHalle, Berlino, Art Basel, Miami, Mahalla Biennial Festival of Istanbul, Istituto Italiano di Cultura Città del Messico.

ANDREA TERRENI

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Andrea Terreni

Mi chiamo Andrea Terreni e vivo a Firenze da quando ho scelto di frequentare qui l'Università. Mi sono laureato in Pedagogia senza apparente sforzo, impegnato in quegli anni di grande fermento a vivere le persone, incorniciare gli avvenimenti e scarabocchiare le tovagliette delle osterie. La Pedagogia è stata il punto di partenza di molte altre passioni come la filosofia, la storia e l'arte. La scrittura invece è sempre stata un'opportunità quasi sofferta, un'occasione di fuga. Ho discusso una tesi di laurea sul "bisogno e la pratica terapeutica dello scrivere" e su come questo possa influenzare il vissuto di ognuno. La scrittura è stata da sempre per me una compagna silenziosa, paziente, a tratti invisibile. Eppure tremendamente fondamentale. Il resto è storia recente e di pochi giorni. Un piccolissimo romanzo (Diario di un Addio) per mettere fine a tante storie del passato. Una silloge poetica (Paroxetina) per affrontare in modo terapeutico un periodo del presente. E poi tanti progetti, tanta scrittura e tanto futuro. Scrivo, ho scritto e scriverò di calcio e calci per SuperNews, di ciclismo e storie della bicicletta per Fuoricorsa e delle bellezze della mia Firenze per FUL. Ho diretto il blog "La Locomotiva" come fosse un Bar in cui si è parlato di Poesia, Prosa, Prosatori e Poeti. Mi chiamo Andrea Terreni ed è difficile che possa raccontare cosa sono. Ho un Ristorante e scrivo. Parlo con la gente e spesso non la capisco. Adoro accontentare e non mi accontento mai. Ho un passato che pesa, un presente che brilla e un futuro che non so proprio cosa possa diventare.